Un contorno stilizzato, il segno dell’ala appena accennato, il becco con il ramoscello d’olivo... la Paloma de la paz di Picasso, nelle sue diverse versioni (da quella di Parigi del ‘49 a quella “blu” del 1961), interpreta la più profonda aspirazione dell’artista alla pace e il suo più forte rigetto di ogni forma di odio e violenza.
Ma il collegamento tra l’olivo e i concetti di pace e prosperità è da sempre appartenuto alla civiltà mediterranea, così come la coltivazione dell’Olea europaea, iniziata dai Fenici 5.000 anni fa, ha segnato fortemente il territorio e il paesaggio dei Paesi che si affacciano sul Mare nostrum, mentre i suoi frutti diventavano essenziali nell’alimentazione, come combustibile, nella medicina e nella cosmesi, nella liturgia regale o religiosa, nel culto dei morti.
Nel Vecchio Testamento abbondano le descrizioni naturali dove è presente l’olivo, una pianta che si inerpica ovunque, sui pendii scoscesi e rocciosi, e le ripetute citazioni di olio e olivo rimandano ad immagini di floridezza, felicità, forza, luce, benedizione: Giuditta guida la danza delle donne “incoronata di foglie d’olivo”; Mosè, prima dell’Esodo, deve procurarsi su indicazioni divine “olio puro di olive schiacciate per tener sempre accesa una lampada nella Tenda dell’Alleanza”; nei Salmi viene detto che l’uomo timorato di Dio vivrà del suo lavoro e godrà della sua famiglia, con i suoi “figli come virgulti d’ulivo intorno alla sua mensa”.
L’olio cura i malati e i feriti, di olio profumato si ungono i defunti, l’olio consacrato è il segno dell’elezione divina. Del resto, unto del Dio dei cieli viene chiamato il re egiziano Sargon I; per consacrarlo re, Samuele unge Davide... e infine, l’Unto, il re o il sacerdote che è stato consacrato con l’olio, diventa Messia, l’Unto per eccellenza, quello che il popolo eletto attende per essere salvato, Christos in greco, che nel Nuovo Testamento sarà l’appellativo di Gesù.
Nella Chiesa cattolica, infatti, unzione diventa crisma, cioè olio misto a profumi consacrato, che viene usato nel battesimo, nella cresima, nell’ordinazione dei sacerdoti, nella consacrazione delle chiese, nell’unzione degli infermi.
Al di fuori del mondo giudaico-cristiano, anche nel mondo greco la pianta dell’olivo ha in sé un’aura di sacralità rasserenante.
Athena, la saggia, dona alla sua città l’albero che le è caro, che spunta miracolosamente dove la dea ha conficcato la lancia, in cima all’Acropoli, proprio dove oggi ne sorge, a memoria, un altro, più giovane di 2.500 anni. Sul frontone Ovest del Partenone si poteva ammirare l’epica rappresentazione dello scontro per il possesso della città tra Poseidone e Athena, da cui quest’ultima esce vittoriosa proprio grazie al dono dell’albero di olivo rigoglioso di frutti e fogliame. Sul tetradramma, moneta ateniese coniata intorno al 500 a.C., appaiono le foglie di olivo dietro il gufo di Athena; e il legislatore decretò l’esilio per chi danneggiasse un albero di olivo.
Anche nei poemi omerici l’olivo è simbolo di pace e armonia: Ulisse, non a caso protetto nelle sue peripezie dalla dea Athena, scolpisce con le sue mani in un grande tronco di olivo il suo talamo nuziale, come augurio per un’unione salda e felice.
Gli atleti greci si tonificavano con l’olio, che entrava nel profondo, conferiva energia e potenza; i vincitori dei giochi olimpici venivano incoronati con serti di rami d’olivo intrecciati che provenivano dal bosco di Olimpia sacro a Zeus. Il mito ci dice che Ercole, fondatore dei giochi olimpici, di cui si incoronò primo vincitore, vi aveva piantato il sacro olivo di Zeus, che aveva condotto con sé dal mitico paese degli Iperborei, localizzato da Erodoto nell'estremo nord del mondo abitato.
Per giungere infine alle leggende dell’antica Roma, si tramanda che, prefigurando per la città un futuro di gloria, proprio sotto le fronde accoglienti di un albero di olivo videro la luce i suoi fondatori, i gemelli Romolo e Remo, nati dall’amore clandestino della principessa Rea Silvia e del dio Marte. Anche i Romani considerarono l’olivo una pianta sacra e augurale: venivano incoronati con i suoi rami intrecciati gli sposi durante le nozze o i consoli tornati vittoriosi dalla guerra oppure i suoi più eminenti cittadini.
Ritornando alla mite colomba che reca il fragile rametto di olivo, e che per tutti noi rappresenta un trepido, struggente augurio, una timida speranza di pace e armonia per l’umanità... sembra che questo volo durato millenni metta insieme i miti e le suggestioni di popoli tanto diversi.
E sono proprio i paleocristiani delle catacombe, che fondono nella loro arte le culture greco-romane con quelle giudaico-cristiane, a riproporre l’immagine della Genesi: la colomba che torna all’Arca di Noè con il ramo d’olivo, ad indicare che il castigo divino si è placato, che il diluvio si è dissolto, che Dio è disposto alla riconciliazione e che la terra è nuovamente abitabile, rifiorisce ancora. Dunque, quell’esile ramoscello diventa il simbolo spirituale e culturale della rigenerazione dell’uomo e della natura, nonché della pace tra Dio e l’uomo, e degli uomini fra di loro.